Susn (1994)

Io sono un extra-terreste. Continuo a non essere in questo mondo. Sono in cammino. E ho paura di atterrare. Nel camion del latte. Nella centrale di un partito. In una stazione di polizia. Alla catena di montaggio. Davanti alle domande di un giornalista. Davanti al menù di un ristorante della catena Wienerwald. In una massa di gente, senza sapere cosa affascina tutta questa gente, senza sapere cosa potrei dire per sentirmi all’unisono con loro. Essere atterrato, in questo momento qualsiasi su un albero, come una foglia, non è stato assolutamente sgradevole. In tal modo si vola vicini alla terra con indicibile forza.
Herbert Achternbusch

Note di regia

In Susn la protagonista rivive la propria esistenza attraversando cinque età differenti, in un diluvio di parole che si arresterà bruscamente nel quinto quadro quando invece di Susn, sprofondata nel silenzio, lo scrittore stesso completerà il resoconto della sua vita.
Cinque fasi diverse, cinque crisi diverse, cinque lingue diverse di un viaggio  condotto in un inebriante turbinio di parole verso l’ammutolimento, il silenzio.
Ho interpretato Ella di Achternbusch nel 1989 e quel lavoro ha segnato profondamente il mio modo di concepire il teatro, mi ha definitivamente persuaso che il lavoro dell’attore è il cuore ed il mistero dell’arte teatrale: il corpo dell’attore quale luogo in cui e da cui tutto prende forma e “informa”, appunto, tutta la complessità di energie che danno vita al teatro. Una forma viva, vitale, che muta ad ogni istante ed ha per questo necessità di una base solidissima nella struttura e nell’attenzione al singolo istante del lavoro di scena. Ora, in queste brevi note di regia, rischio di banalizzare un’esperienza complessa, ma era importante per me dire queste cose poiché attraverso questa esperienza fatta sul “mio” corpo d’attore è iniziata una ricerca sul senso del teatro che ho tentato di portare avanti nei miei lavori come regista e non abbandonare quando a mia volta sono stato diretto.
È quindi con grande emozione che ritorno ad Achternbusch e a quel suo flusso di scrittura  così denso e lontano dalla lingua uniforme che siamo abituati ad ascoltare a teatro. Una giostra emotiva piena di umorismo nero pur nella tragicità della vita “senza qualità” di Susn. C’è la storia di una sconfitta, c’è una ricerca disperata di amore, c’è il passare durissimo del tempo, c’è la memoria, c’è l’invenzione libera e provocatoria di un linguaggio interiore.
Immagino una serie di porte, di anfratti, buchi oscuri della memoria da cui emerge Susn con i suoi doppi, o da cui i suoi fantasmi vengono risucchiati, arrivando ad evocare una giostra oscena ed iperrealista.

Valter Malosti

  • di Herbert Achternbusch
  • traduzione Luisa Gazzero Righi
  • regia Valter Malosti
  • con Alvia Reale, Maddalena Rossi, Roberta Bosetti, Valter Malosti
  • collaborazione per i movimenti scenici Tommaso Massimo Rotella
  • musiche di Arvo Part, Deep Listening Band, Roberto Murolo, The Walker Brothers
  • la canzone tratta da Despedida di Garcia Lorca è composta da Ezio Bosso
  • luci Robert John Resteghini
  • realizzazioni scenografiche Giuseppe D’Alemo, Alessandro Marrazzo
  • produzione Asti Teatro 16, Crt, Teatro di Dioniso, Goethe Institut Turin