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2018/2019 | ROBERTA VA SULLA LUNA | Cuocolo/Bosetti

Quest’ultimo lavoro ROBERTA VA SULLA LUNA, ha iniziato ad annunciarsi dopo aver trovato
nel magazzino di casa delle vecchie riviste. Un’edizione speciale di OGGI che celebrava con foto a colori, rare per quell’epoca, l’allunaggio dell’Apollo 11, nel Mare della Tranquillità.
Luna, Mare, Tranquillità suonava promettente.

Siamo lì seduti con questo titolo in testa ROBERTA VA SULLA LUNA, un po’ di libri nuovi che toccano tangenzialmente l’argomento, le foto del giornale, e io mi alzo e prendo un libro dalla libreria e prima di iniziare a sfogliarlo da questo cade a terra una cartolina. Una cartolina di 40 anni prima, dimenticata da tempo, che arriva da Huston e ha l’immagine della luna.
ROBERTA VA SULLA LUNA. Perché? mi chiedo, e poi salta fuori questa cartolina.
Non sapevo neanche di averla. Eppure era lì. Sono cose che danno da pensare.
Le coincidenze dico. Prendi un libro, quel libro di poesie che non a caso si intitola
Dalla vita degli oggetti e salta fuori questa cartolina comprata e spedita dalla base Nasa
di Huston quarant’anni prima. Quell’immagine deve aver fatto scattare qualcosa dentro di me perché quando dieci minuti dopo mi alzai dal divano rosso per andarmi a fumare una sigaretta di colpo mi venne in mente quella sera.
Era l’estate del 1969 e l’Apollo viaggiava verso la Luna.
– La vedi la Luna? mi chiede mia madre

Quando iniziamo a pensare uno spettacolo, il nostro tavolo si riempie pian piano di cose. Il settimanale ritrovato, la cartolina smarrita e poi libri molti e diversi, piccoli oggetti. E intanto spero proprio che queste cose possano un giorno fondersi, mescolarsi – forse la parola esatta è condensarsi- in qualcosa di significativo.
Che bella parola significativo.

Tornando a noi. L’episodio della cartolina misteriosamente ritrovata e il ricordo di quella sera con mia madre a vedere l’allunaggio ci aveva messo su una pista. Come sempre qualcosa riemerge, lentamente, quasi non lo sai, emerge e si scontra con altre cose che in quel momento stai facendo: l’arrivo di Nuvola, un cane che porta il nome di qualcosa che sta in aria, la fine della depressione, la lettura di tante cose Le Illusioni Perdute di Balzac, Jerry Seinfeld, lo studio di due opere di Joseph Beyus.
In pratica, cose che non c’entrano niente e che poi nello spettacolo nessuno vede ma che danno spinte inaspettate: lieviti vari.

Bisognerebbe mettere i fatti in ordine.
Proprio nei giorni in cui era comparso sul cammino della nostra ispirazione il video della performance di Beyus: “How to explain pictures to a dead hare”, vedemmo un coniglio selvatico vivo.

Da qualche mese ci gira in testa l’idea della luna. Un viaggio sulla luna, o dalla luna, questo non è ancora ben chiaro.
Ci siamo forse innamorati del titolo: ROBERTA VA SULLA LUNA
Oppure, ed è più probabile, qualcosa sulla terra non ci convince.

ROBERTA VA SULLA LUNA, continua e sviluppa il lavoro di Interior Sites Project.
Si parte dall’autobiografia, da quello che succede nella nostra vita per toccare la vita di tutti.
Questo nuovo lavoro è anche una riflessione su come teatro e vita, attore e personaggio, realtà e finzione si sovrappongano.
La luna diventa uno sguardo differente sulla realtà. La realtà come un insieme di punti di vista.
Si tratta, prima di decollare per lontani emisferi di notare davvero ciò che i nostri occhi hanno già visto.
Uno spettacolo lunare saldamente ancorato a terra dove la scrittura sceglie di abdicare
al racconto a favore di un dispositivo in grado di parlare della realtà.
Un’ attitudine lunare e performativa.
Cuocolo/Bosetti

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ROBERTA VA SULLA LUNA | How to explain theatre to a living dog
14esima parte di Interior Sites Project
di e con Roberta Bosetti e Renato Cuocolo
e il cane Nuvola
produzione Cuocolo/Bosetti IRAA Theatre, Teatro di Dioniso

CONTATTI
Nicoletta Scrivo | Teatro di Dioniso
organizzazione@teatrodidioniso.it | nicolettascrivo@gmail.com
www.teatrodidioniso.it | +39 335 6706269

2018/2019 | PRIVATE EYE | Cuocolo/Bosetti | IRAA theatre

Uno è tanto più autentico quanto più è vicino a quello che ha sognato di essere.

Agosto 2004, Perth, Renato C. chiede ad un investigatore privato di seguire e filmare sua moglie Roberta B.
Da quel materiale, illecito e intimo nasce, un anno dopo, PRIVATE EYE, presentato nelle stanze di un Hotel per uno spettatore alla volta.
Un viaggio dai confini incerti, fra i sentimenti che proviamo e quelli che ci rappresentiamo, fra quello che pensiamo di essere e quello che siamo costretti ad essere. Illusione, rappresentazione, finzione si sovrappongono e infine diventano una cosa sola con quello che è.
PRIVATE EYE è uno spettacolo sull’identità.

PRIVATE EYE vuole creare un mondo in cui niente è quello che sembra, una specie di smarrimento terribile e affascinante, come ritrovarsi all’improvviso nel buio di un luogo sconosciuto. Una sfida a se stessi e allo spettatore. Spettatore al singolare perché la visione ad incastro del lavoro avrà nel rapporto aperto uno ad uno, il suo momento centrale.

Il lavoro è presentato in due stanze di un hotel.
Nella prima stanza Renato presenta allo spettatore i filmati e le foto prodotte dal vero investigatore. Poi lo spettatore viene invitato nella seconda stanza dove è accolto da Roberta. Qui si svolge la parte centrale dello spettacolo. Alternativamente Roberta impersona se stessa e il suo doppio.
Ogni sezione è interrotta dall’arrivo intempestivo del prossimo spettatore.

Abbiamo scelto per questo progetto il luogo Hotel perché PRIVATE EYE nasce proprio mentre alloggiavamo in un hotel a Perth, e poi, ancor più, perché   l’hotel è un luogo di passaggio, è un posto dove ci si ferma in modo precario durante un viaggio, dà l’idea della precarietà dell’esistenza, del muoversi, così come il tema e il centro di PRIVATE EYE è basato sulla mobilità dell’identità.

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PRIVATE EYE
di e con Renato Cuocolo e Roberta Bosetti
Regia Renato Cuocolo
produzione IRAA Theatre

Luogo: Due stanze in un hotel
Spettatori: uno alla volta per un totale di 15 al giorno
Durata: 45 minuti per spettatore

 

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2018/2019 | MM&M MOVIES, MONSTROSITIES AND MASKS | Cuocolo/Bosetti | Teatro di Dioniso

I racconti degli altri, i film, la televisione, i libri, le immagini, insieme ai nostri genitori ci hanno tirati su, ci hanno intrattenuto, confortato, imbrogliato, disciplinato e ci hanno detto che cosa potevamo e che cosa non potevamo fare. E hanno giocato un ruolo importante nel trasformarci, non in una persona, ma in tutte le persone buone o cattive che ci sono arrivate attraverso quello che abbiamo letto, visto e ascoltato. Abbiamo un teatro nella testa.” C/B

MM&M si interroga sull’identità e sulla natura artificiale di ogni autobiografia. Partendo da elementi autobiografici affrontiamo il rapporto realtà/finzione e l’ambigua relazione tra attore/persona e personaggio.

Esiste una autobiografia di noi come spettatori. Il film è un pezzo di vita di ciascun spettatore. E i titoli di coda, le luci che si riaccendono in sala segnano la fine di un frammento di esistenza vissuto guardando uno schermo. Nella nostra autobiografia come spettatori il cinema rappresenta una nuova dimensione dell’esperienza. Un luogo che muta la nostra percezione della realtà e di noi stessi: conscia e inconscia, sogni e ricordi.
Anche le memorie si impastano di immagini, cinema, fotografia, e la percezione del passato, non solo quello personale, ma collettivo, è tinta di bianco e nero o dei colori caldi degli anni cinquanta e sessanta, l’età dell’oro della cinefilia.
Con MM&M cerchiamo di costruire l’identità personale e il tempo della vita sulla base di tagli e piani cinematografici.

MM&M è un viaggio dai confini incerti, fra quello che pensiamo di essere e quello che siamo costretti ad essere. Illusione, rappresentazione, finzione si sovrappongono e infine diventano una cosa sola con quello che è.
MM&M è uno spettacolo sull’identità. Sull’esplorazione dell’identità: uno è tanto più autentico quanto più è vicino a quello che ha sognato di essere.

Per far questo MM&M attinge ad una narrativa fatta di cultura alta e cultura popolare mischiate insieme alla ricerca della costruzione di una biografia immaginaria. Un autoritratto come un altro.

C’è una omologia tra cinema e mente ed è chiaro che la parentela è con l’inconscio. Il cinema è una macchina dei fantasmi. Quella del passato che ritorna, del perturbante. La ripetibilità delle immagini e loro deperibilità. Al centro, in profondità l’immagine della morte.
Sullo schermo c’è qualcosa che non cessa di morire, un tempo costretto nello scorrere della pellicola, il cinema è la morte al lavoro 24 fotogrammi al secondo sul volto degli attori. Maschere e mostruosità.

Il cinema come luogo narcisistico di identificazione immaginaria. MM&M affronta l’equazione schermo uguale specchio che rimanda la nostra immagine ma anche quello che alla nostra immagine manca. In un processo in cui questi frammenti inconsci di film, visti in periodi diversi della nostra vita, superano i loro limiti, approfondiscono le loro prospettive, non smettendo mai semplicemente di cambiare.

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MM&M
Movies, Monstrosities and Masks

di Renato Cuocolo e Roberta Bosetti
con Renato Cuocolo e Roberta Bosetti
regia Renato Cuocolo
produzione Cuocolo/Bosetti IRAA Theatre, Teatro di Dioniso
in collaborazione con Il Funaro Pistoia, Festival delle Colline Torinesi

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2018/2019 | LA BUONA EDUCAZIONE | Piccola Compagnia Dammacco

DEBUTTO NAZIONALE Festival delle Colline Torinesi | Torino Creazione Contemporanea 2018

LA BUONA EDUCAZIONE
Una donna deve prendersi cura di un giovane essere umano, ultimo erede della sua stirpe. Deve ospitarlo nella sua vita, nella sua casa, nella sua mente, deve educarlo, progettare il suo futuro, deve contribuire all’edificazione di un giovane Uomo. Serena Balivo, Premio Ubu 2017 nella categoria nuova attrice o performer, dà vita sulla scena a questa donna, accoglie gli spettatori nel teatro della sua mente e condivide con loro la strada che percorre per cercare di assolvere al suo compito. Sarà all’altezza del compito? LA BUONA EDUCAZIONE, con la drammaturgia e la regia di Mariano Dammacco, e lo spazio scenico ideato dallo stesso regista insieme alla scenografa Stella Monesi, muove i suoi passi da alcune domande: quali sono i valori, i contenuti, le idee che oggi vengono trasmesse da un essere umano all’altro? Quali sono gli attori di questa trasmissione di contenuti? A cosa servono questi contenuti, questi valori, queste idee? A cosa ci preparano?

TRILOGIA DELLA FINE DEL MONDO
Il primo vero progetto artistico nato del tutto all’interno del progetto della Piccola Compagnia Dammacco è la “Trilogia della fine del mondo”, ovvero il progetto di realizzare tre spettacoli con drammaturgia originale e con narrazioni collocate nel nostro presente. Sono così nati gli spettacoli L’inferno e la fanciulla (2014) ed Esilio (2016) e LA BUONA EDUCAZIONE in debutto all’interno del festival delle Colline Torinesi, nel giugno 2018.

Gli spettacoli che compongono la Trilogia hanno l’intento di offrire una occasione di riflessione sul mondo in cui viviamo. La “fine del mondo” contenuta nel titolo allude al porre attenzione alle sfumature nuove della nostra società, le sfumature che ci mostrano, appunto, che il mondo che conoscevamo e nel quale siamo nati cambia velocemente al punto da poter dire che è un mondo finito, il cui posto viene preso proprio da quel presente che intendiamo indagare per prendere coscienza e creare una sorta di memoria dell’oggi.
Non diciamo nulla di nuovo affermando che, oggi quanto mai, seppure in presenza del più alto grado di progresso tecnologico e scientifico, il modo in cui la vita della cosiddetta comunità occidentale è organizzata rischia sempre più di generare una ricaduta di segno negativo sulla vita dell’individuo riassumibile forse in una sorta di rischio di disumanizzazione.

 

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DISPONIBILE DA GIUGNO 2018

LA BUONA EDUCAZIONE

con Serena Balivo
ideazione, drammaturgia e regia Mariano Dammacco
spazio scenico Mariano Dammacco e Stella Monesi

organizzazione Nicoletta Scrivo
amministrazione Paola Falorni
ufficio stampa Teatro di Dioniso Paola Maritan
ufficio stampa Piccola Compagnia Dammacco Maddalena Peluso

produzione Piccola Compagnia Dammacco / Teatro di Dioniso

in collaborazione con L’arboreto Teatro Dimora, Teatro Franco Parenti, Primavera dei Teatri, Asti Teatro 40

con il sostegno delle residenze artistiche Compagnia Diaghilev Residenza Teatro Van Westerhout, Residenza Teatrale di Novoli – Principio Attivo Teatro – Factory Compagnia Transadriatica, Giallo Mare Minimal Teatro, Capotrave Kilowatt/Bando Sillumina Siae 2017, Residenza teatrale Qui e Ora

La compagnia ringrazia per il confronto durante la preparazione dello spettacolo Maurizio Agostinetto, Fabio Biondi, Antonio Catalano, Michela Cescon, Gerardo Guccini, Valter Malosti, Roberta Nicolai, Lorenza Zambon. Grazie a Casa degli Alfieri e Spazio Kor.

 

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2018/2019 | IL BERRETTO A SONAGLI | Teatro di Dioniso

Il carattere di Ciampa è pazzesco, questa è la sua nota fondamentale. Gesti, andatura modi di parlare, pazzeschi. Cosicchè dovrà nascere il sospetto e la paura che a un dato momento egli possa uccidere”.
Luigi Pirandello, lettera a Martoglio, 8 febbraio 1917

Con IL BERRETTO A SONAGLI Malosti ha affrontato per la prima volta Pirandello, confrontandosi con uno dei testi più popolari del grande drammaturgo siciliano, cercando di strapparlo allo stereotipo e tentando di restituire la forza eversiva originaria di quei “corpi in rivolta” posti al centro della scena che è anche labirinto: una feroce macchina/trappola. Un testo vivissimo grazie alla violenza beffarda della lingua, una sorta di musica espressionista e tragicomica, molto evidente nel testo scritto in dialetto siciliano che è alla base di un lavoro originale di drammaturgia. Una versione più schietta, dura, non ‘ripulita’ del testo pirandelliano, affidata sia al dialetto della prima stesura  sia ad un italiano derivato da questa,  che assume in sé elementi dialettali, per permettere di affidare agli attori una partitura più ritmica e musicale, tentando di recuperare anche una dimensione più autentica.

Come è ormai noto IL BERRETTO A SONAGLI di Pirandello nasce come testo dialettale (‘A birritta ccu ‘i ciancianeddi) per Angelo Musco, attore comico di grande successo. Il testo in dialetto recitato da Musco non fu mai pubblicato da Pirandello, a differenza di quanto avvenne con Liolà. La prima redazione de Il berretto a sonagli, ritrovata nel 1965 e pubblicata solo nel 1988, può oggi diventare un mare linguistico in cui re-immergere il testo italiano, oltre che prezioso corto-circuito dal punto di vista dei contenuti.

Questa prima versione, infatti, ha offerto materia a Malosti per un lavoro di riscoperta e rilettura non solo linguistica ma di ridefinizione di caratteri e ruoli affioranti dal recupero dei tagli capocomicali di Musco, mai ripristinati dall’autore nell’edizione italiana, anzitutto la perdita di una possibile co-protagonista della commedia, accanto a Ciampa, in Beatrice Fiorìca, la moglie tradita. Si tratta di un testo più duro, politicamente scorretto, a tratti ferocemente antimaschilista nelle battute, sia di Beatrice sia dell’equivoca Saracena e che presenta varianti significative che riguardano tutti i ruoli e in particolare una scena totalmente espunta nella versione italiana posta nel manoscritto all’inizio del secondo atto.

“Il Teatro non è archeologia. Il non rimettere le mani nelle opere antiche, per aggiornarle e renderle adatte a nuovo spettacolo, significa incuria, non già scrupolo degno di rispetto. Il Teatro vuole questi rimaneggiamenti, e se n’è giovato incessantemente, in tutte le epoche ch’era più vivo. Il testo resta integro per chi se lo vorrà rileggere in casa, per sua cultura; chi vorrà divertircisi, andrà a teatro, dove gli sarà ripresentato mondo di tutte le parti vizze, rinnovato nelle espressioni non più correnti, riadattato ai gusti dell’oggi. E perché questo è legittimo? Perché l’opera d’arte, in teatro, non è più il lavoro di uno scrittore, che si può sempre del resto in altro modo salvaguardare, ma un atto di vita da creare, momento per momento, sulla scena, col concorso del pubblico, che deve bearsene.”
Luigi Pirandello, in Storia del teatro italiano, a cura di Silvio d’Amico, 1936

Lo spettacolo si inserisce nel solco delle rivisitazioni “d’autore” di Malosti, come era accaduto con il felice lavoro tratto da La scuola delle mogli di Molière, per tre anni in tournée nei teatri italiani.
Afferma il regista “Colgo nella pièce un carattere visionario come in Molière, e un andamento da farsa nera. Ciampa è per me un buffone tragico, come il Nietzsche di Ecce homo e l’Arnolphe de La scuola delle mogli”.

DISPONIBILE FINO A DICEMBRE 2018

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QUI un estratto di rassegna stampa de IL BERRETTO A SONAGLI

 

IL BERRETTO A SONAGLI
di Luigi Pirandello
adattamento e regia Valter Malosti
con
Roberta Caronia>    Beatrice Fiorìca
Valter Malosti>    Ciampa
Paola Pace>    Donna Assunta La Bella, La Saracena
Vito Di Bella>    Fifì La Bella
Paolo Giangrasso>    Alfio Spanò
Maria Lombardo>   Fana
Roberta Crivelli>    Sarina Ciampa

luci Francesco Dell’Elba
scene Carmelo Giammello
costumi Alessio Rosati
macchinista e direttore di scena Gennaro Cerlino
assistente alla regia Elena Serra
assistente ai costumi Michela Pagano
realizzazione costumi Laboratorio Nuvia Valestri
sarta  di compagnia Aurora Damanti
parrucche Mario Audello
si ringraziano Alessio Maria Romano, Alessio Foglia
produzione Teatro di Dioniso
con il sostegno del Sistema Teatro Torino
ph. Franco Rabino | Tommaso Le Pera

 

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2018/2019 | ROBERTA CADE IN TRAPPOLA | Cuocolo/Bosetti | IRAA Theatre

ROBERTA CADE IN TRAPPOLA parla di relazioni.
La nostra relazione con gli amici, con la loro assenza, con la memoria, col passato e con quello che del passato rimane.
Parte dall’autobiografia ed è la tredicesima parte di quel viaggio iniziato a Melbourne nel 2000 che ha confuso e sovrapposto i confini tra vita e teatro, attore e personaggio, arte e vita. Un teatro che nella nostra idea dovrebbe essere perturbante ed intimo.

Abbiamo un teatro nella testa.
Partendo da elementi presi dalla nostra vita proviamo a toccare quella di molti.
Partiamo dall’autobiografia non perché le nostre vicende personali siano così importanti ma per la consapevolezza che le nostre vite e quelle degli altri non sono così dissimili.

ROBERTA CADE IN TRAPPOLA attraversa e mette in scena il passato, un vecchio registratore che dopo quarant’anni riappare con il suo carico di promesse, la labilità delle relazioni in un mondo in cui più le distanze si rimpiccioliscono, più le relazioni sembrano diventare distanti.
ROBERTA CADE IN TRAPPOLA mette in scena la Cosa Brutta di cui parla David Foster Wallace, un’opera sgangherata di magia e un libro di una mostra di Duane Hanson, vista molto tempo fa.
Quel libro è diventato col tempo un’opera esso stesso, una specie di diario in cui si sono accumulate foto, ricami, disegni.
Ci è piaciuto interagire con l’opera iperreale di Hanson in cui persone vere sembrano false, o forse statue vere sembrano persone false. Più in là la donna col vestito rosso che continua a svenire…si lascia cadere, cade, cade, cade. Tu sbagli la mossa, è un atto mancato, sbagliare un gradino, inciampare, cadere. Tu non ci pensi, passa attraverso te, sono sciocchezze.
È l’appuntamento con l’inconscio.

Con ROBERTA CADE IN TRAPPOLA, cerchiamo di stabilire connessioni tra punti lontani per descrivere una costellazione di avvenimenti, idee ma anche paure, fantasie e sogni.
Come ha scritto Walter Benjamin, sapersi orientare in una città non significa molto, mentre per smarrirsi in essa occorre una certa pratica. Facciamo nostra questa frase come viatico per questo nuovo viaggio nel labirinto del nostro passato più prossimo. Scrivere significa portare alla luce l’esistente facendolo emergere dalle ombre di ciò che sappiamo.

Sto nella cucina al secondo piano. E’ la stanza più piccola della casa. Una specie di cucina di servizio, giusto per prepararsi un tè o un caffè. Scrivo sempre lì. Continuo a scrivere anche adesso per cercare di mettere parole.
Bisogna continuare, bisogna dire parole finché ce ne sono, bisogna dirle finché mi trovino, finché mi dicano impedendo alla vita di dissolversi nel buio. Mettere parole tra me e il tempo che soffia portandosi via brandelli sempre più grandi di senso.

“Il teatro come trappola per la realtà da cui discende un costante slittamento della realtà nella finzione e viceversa, che crea ambiguità e pervasivo senso del perturbante. Una ricerca teatrale condotta con entusiasmo e voglia di sperimentare e di sperimentarsi, guidata da una persistente curiosità verso gli uomini e l’arte così come verso sé stessi e il proprio io nascosto.”

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ROBERTA CADE IN TRAPPOLA
di e con Roberta Bosetti e Renato Cuocolo
produzione IRAA Theatre

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2018/2019 | BOTTONI | CUOCOLO/BOSETTI

BOTTONI mette in scena la tradizione della favola, partendo dai classici del genere, puntando su un innovativo metodo di narrazione. Ricreando la struttura tipica di ogni racconto di fate (Il distacco, la sventura, la foresta misteriosa, le terre lontane, la sposa etc.) utilizza a piene mani i personaggi iconici dell’immaginario fiabesco.
Così troveremo insieme Il Principe Azzurro, chiamato qua Affascinante, la Bella Addormentata, Pollicino, Hansel, Gretel, Biancaneve e in una rumorosa Casa di Correzione per i Cattivi delle Fiabe incontreremo insieme alla strega, i quaranta ladroni, l’Orco, Lucignolo e finanche Geppetto, se pur qui per un errore giudiziario.

Materiali poveri e quotidiani, facilmente reperibili, attraverso un uso immaginativo diventano i protagonisti del racconto.  Su tutto i bottoni, che si trasformano nei personaggi principali, così come un guscio di noce diventa una nave, che per quanto ne sappiamo, può affondare in un bicchier d’acqua.

Insieme al racconto di classici della narrativa per l’infanzia lo spettatore viene esposto e stimolato ad un uso inventivo degli elementi presenti in ogni casa. Viene stimolato alla creazione di un mondo e alla messa in scena partendo da elementi della sua realtà che solo grazie ad uno sguardo diverso possono acquisire sensi, funzioni e significati diversi, stimolando, nel piccolo ascoltatore un uso immaginativo verso la costruzione di universo creativo.

La creatività va, come tutte le qualità, stimolata ed è proprio questo che il progetto si prefigge. Non solo passivo ascoltatore ma produttore di senso, scopritore di possibilità.
Il tutto viene presentato così come, con successo, è stato sperimentato negli ultimi spettacoli con la produzione video live che segue e approfondisce gli elementi della narrazione trasformandoli attraverso le immagini che rinforzano e/o stravolgono la realtà degli oggetti stessi. Un rametto di foglie diventa un bosco, un biscotto la casa di marzapane e così via.
BOTTONI è una proposta innovativa che si rivolge ad un pubblico di tutte le età inglobando, per la prima volta, anche gli spettatori più giovani.

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BOTTONI
di Roberta Bosetti
regia di Renato Cuocolo
con Annalisa Canetto e Livio Ghisio
produzione Cuocolo/Bosetti IRAA Theatre, Teatro di Dioniso

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2018/2019 | LE RELAZIONI PERICOLOSE tra matematica e letteratura | Teatro di Dioniso

AMA TRE DONNE, AMA TRE AUTORI
Lo spettacolo nasce dalla passione di Piergiorgio Odifreddi e Irene Ivaldi per i grandi romanzi e da una serie di conversazioni su alcuni autori amati da e investigati da entrambi. Ne è nato il desiderio di raccontare da due punti di vista complementari, uno razionale e l’altro emotivo, tre personaggi femminili e i rispettivi autori.

La materia di un romanzo è un insieme di trame più o meno sottili, un intreccio le cui parole tendono a una storia secondo un ordine che può risultare armonioso o dissonante, asciutto come lino o sovrabbondante come broccato ma comunque sempre frutto di un insieme di scelte personalissime e complesse, recanti la firma dell’autore.

Lewis Carroll, Lev Tolstoj e James Joyce sono i padri di tre beniamine degli amanti della letteratura a cavallo tra Ottocento e Novecento: la piccola e avventurosa Alice, che sogna di vivere Nel paese delle meraviglie; la tormentata Molly Bloom, inesauribile per loquacità nell’ultimo capitolo dell’Ulisse e la passionale Anna Karenina, decisa a morire pur di non cedere al conformismo del suo entourage.

Tre donne, le iniziali dei cui nomi formano l’acrostico “AMA”, che incita ad amarle emotivamente attraverso i loro soliloqui, interpretati da Irene Ivaldi.

Il matematico Piergiorgio Odifreddi, più pertinente che mai, ci dimostra come queste opere si possano amare anche razionalmente, svelandone la mirabile struttura con criteri scientifici, disvelando una dimensione dell’universo letterario niente affatto scontata.
La profondità di analisi critica e l’originalità di un consolidato percorso di indagine che lo ha spinto ad occuparsi con passione di arte e letteratura si uniscono ad un’autentica vocazione alla divulgazione in un dialogo spiritoso e accattivante.

Quanti gradi di separazione possono esserci tra James Joyce e Bertrand Russell?

Le due letture parallele intendono dunque avvicinarsi ad Alice, Anna e Molly da un lato, e a Carroll, Tolstoj e Joyce dall’altro, all’insegna del motto: AMA EMOTIVAMENTE LE TRE DONNE, AMA RAZIONALMENTE I TRE AUTORI.

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DISPONIBILE DA MAGGIO 2018

 

LE RELAZIONI PERICOLOSE
tra matematica e letteratura
di e con Piergiorgio Odifreddi e Irene Ivaldi
regia Elena Serra
produzione Teatro di Dioniso

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2018/2019 | L’INFERNO E LA FANCIULLA | Piccola Compagnia Dammacco

L’INFERNO E LA FANCIULLA è un monologo con drammaturgia originale composta da Mariano Dammacco insieme all’interprete Serena Balivo (Premio UBU 2017 Miglior attrice under 35).
I linguaggi scelti sono quelli dell’allegoria e dell’umorismo, affiancati da una lingua altra, poetica.
In scena, l’attrice interpreta una surreale bambina, la fanciulla, e conduce gli spettatori in un suo personale viaggio all’inferno, non l’inferno delle anime dannate, bensì l’inferno che a volte ci sembra di vivere nella nostra quotidianità.
Si tratta di un viaggio alla ricerca di una propria dimensione di adulto.
Gli spettatori assistono al confronto della fanciulla con le aspettative e le speranze riguardo la sua vita, con le difficoltà e le delusioni legate alla ricerca di qualcuno che le sia affine. E ancora, la fanciulla conoscerà la paura e l’insofferenza per l’autorità e scoprirà di essere capace di sentimenti negativi quali la rabbia o la misantropia. Infine, lo spettacolo svelerà che il vero e proprio inferno sulla terra della protagonista, o forse di molti di noi, sta nel rischio di non raggiungere mai una condizione di adulto, di restare imprigionati in una proiezione mentale di sé stessi adulti senza che questa si concretizzi mai in realtà.

L’arboreto Edizioni ha pubblicato il libro L’INFERNO E LA FANCIULLA di Serena Balivo e Mariano Dammacco.
Il libro comprende la drammaturgia integrale dello spettacolo, le illustrazioni originali di Stella Monesi e un apparato critico in forma di conversazione tra gli autori Mariano Dammacco e Serena Balivo e Gerardo Guccini, docente di Drammaturgia presso l’Università di Bologna e attento osservatore delle interazioni fra testo e spettacolo sia nelle esperienze storiche che in quelle contemporanee.

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Qui un estratto di rassegna stampa de L’INFERNO E LA FANCIULLA

L’INFERNO E LA FANCIULLA
con Serena Balivo
ideazione e drammaturgia Mariano Dammacco, Serena Balivo
regia Mariano Dammacco
immagine di locandina Stella Monesi
produzione Piccola Compagnia Dammacco
con il sostegno di Campsirago Residenza
e con la collaborazione di Teatro di Dioniso

Serena Balivo Premio UBU 2017 Miglior attrice under 35
Primo studio vincitore del Premio Nazionale Giovani Realtà del Teatro
Spettacolo Selezione In Box 2016
Piccola Compagnia Dammacco finalista al Premio Rete Critica 2016

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2018/2019 | IFIGENIA IN CARDIFF (Iphigenia in Splott) | Teatro di Dioniso

Effie la sfrontata, la sboccata, la squattrinata Effie vive in un Galles di periferia, a sud di Cardiff, nel quartiere di Splott, dove conduce un’esistenza irregolare senza progetti, senza futuro.
Vive di niente Effie; qualche spicciolo dall’assistenza sociale e i soldi che, tra un litigio e un altro, la nonna le lascia sul tavolo sbattendo la porta.
Come in un film di Ken Loach, Effie è una dei tanti relitti di umanità ai margini a cui nessuno si interessa, tranne per dare distrattamente un’occhiata al suo bel fondoschiena.
La sua identità Effie la cancella tutte le sere distruggendosi di alcol: sotto botta alcolica, il mondo grigio e ostile non esiste più. “Compagni di sbronze” di questa creatura suburbana sono la coinquilina Leanne e Sacha, l’amico un po’ sciocco con cui scopa senza fantasia e senza amore.
E se fosse proprio l’Amore a cambiare la sua vita? Un incontro, in una notte alcolica e folle, un uomo diverso dagli altri, un soldato tornato dall’Afghanistan, segnerà l’inizio di una trasformazione. Questa buffa e sguaiata crisalide dimostrerà a se stessa di poter essere migliore di come è stata fino ad allora. Anche se nulla è come sembra, anche se altri colpi di scena ribalteranno ancora una volta la rotta, Effie non sarà mai più la stessa.

IFIGENIA IN CARDIFF di Gary Owen (dall’originario Iphigenia in Splott), è un delirio monologante denso di lucidità che si rivela a poco a poco, ribaltando gli equilibri del senso comune e scardinando moralismi e perbenismi vari, con il suo attacco sferrato in pieno viso contro l’ipocrisia della società e di una politica dell’austerity che finisce per stringere la morsa sempre sui soliti noti: i più deboli.
Con un linguaggio abrasivo pieno d’ironia tagliente, Owen affonda il coltello nelle maglie sconnesse della contemporaneità, consegnandoci il ritratto al vetriolo di una Ifigenia moderna che non ci sta ad essere la vittima sacrificale di un sistema già scritto, reagisce,  si oppone al fato che la vorrebbe vendicativa e miope, con un inaspettato, gratuito e sconcertante atto di compassione.
Davanti ai fallimenti del nostro tempo, Effie non è di certo un capro espiatorio ma testimone ferale e voce d’accusa contro un potere che, con la sua ingombrante ingordigia, divora le vite degli altri.

A questa “nuova” Ifigenia dà  corpo e  voce Roberta Caronia, in una prova estrema e perturbante, dentro uno spazio dove nulla dovrà distrarci dalla “passione” laica squadernata in una via crucis che si dipana dentro un paesaggio  che di greco non ha più niente: locali oscuri, spiagge devastate, fabbriche che sembrano astronavi schiantate, montagne di metallo, binari di treno che non portano più a nulla, gru, tubi, cataste di ciminiere, ospedali labirinto, pony selvaggi, pneumatici scoppiati, elicotteri che rombano forte sulle teste, water abbandonati, rovine di case, lastre di cemento come lapidi, vetri che scintillano alla luna.

Roberta Caronia si è aggiudicata, per questa interpretazione, nel 2017, il XIII Premio Virginia Reiter.

La motivazione con cui la giuria presieduta dal nuovo presidente Ennio Chiodi e composta da Rodolfo Di Giammarco (la Repubblica), Gianfranco Capitta (il Manifesto), Maria Grazia Gregori (l’Unità) e Maurizio Porro ha decretato la vittoria dell’attrice recita: “Tra le varie ossessive e alterate identità che hanno messo in luce il talento nevrotico di Roberta Caronia c’è in particolare un percorso di giovani figure classiche (Ismene, Antigone, Ermione) che porta fatalmente alla via crucis di una Ifigenia contemporanea, ritratto di un’emarginata del Galles che ha fatto deflagrare la sua ossessione corporea e un suo straordinario flusso di coscienza in “Ifigenia in Cardiff” di Gary Owen (in origine “Iphigenia in Splott”) con regia di Valter Malosti, che l’aveva anche diretta in un’acuminata versione siciliana del “Berretto a sonagli” di Pirandello. Avendo lei già mostrato un suo ben forte carattere nella “Clitennestra” di Vincenzo Perrotta, in “The Coast of Utopia” di Stoppard, e nei panni della coraggiosa Rita Atria de “Il mio giudice” di Maria Pia Daniele, facendo buon uso della formazione con Piotr Fomenko e Nicolaj Karpov”.

Lo spettacolo ha debuttato in prima nazionale nel giugno 2017 all’interno della XXII edizione del Festival delle Colline Torinesi.
Il primo studio è stato presentato a dicembre 2016 nell’ambito della rassegna Trend – Nuove frontiere della scena britannica di Roma

 

Scarica la scheda artistica di IFIGENIA IN CARDIFF

QUI un estratto di rassegna stampa su IFIGENIA IN CARDIFF

 

IFIGENIA IN CARDIFF
(Iphigenia in Splott)
di Gary Owen
traduzione Valentina De Simone
con Roberta Caronia
regia di Valter Malosti
luci Francesco Dell’Elba
produzione Teatro di Dioniso

 

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